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 Il Baccalà...

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MessaggioTitolo: Il Baccalà...   Il Baccalà... Icon_minitimeDom Feb 24, 2008 11:59 pm

Il merluzzo era chiamato dalle popolazioni del Nord Europa stock (bastone) fish o vish (pesce), mentre la parola usata dai veneziani fu baccalà per assonanza con bacalhau portoghese e bacalao spagnolo, termini evidentemente derivati dal latino baculus, che significa bastone. Il bacalao spagnolo si riferiva però a quella specie di merluzzo che pur partendo dal Mare Glaciale Artico non va verso la Norvegia ma si dirige verso il Labrador e Terranova, dove veniva pescato e conservato sotto sale da spagnoli e portoghesi. Il nome di una ricetta diversa quindi venne usato comunemente per definire il baccalà fatto alla norvegese, stranezza che si affianca a quella del vocabolo mantecato (crema), anch'esso d'origine spagnola. Baccalà mantecato quindi come crema di stoccafisso.
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MessaggioTitolo: Re: Il Baccalà...   Il Baccalà... Icon_minitimeLun Feb 25, 2008 12:00 am

Per parlare del baccalà, che fino al dopoguerra veniva ancora battuto sui masegni delle Zattere dai manovali dei burci e dei trabaccoli, da cui deriva il detto done, cani e bacalà, no xe bon se no xe pestà, bisogna infatti risalire al 25 aprile 1432 quando una nave veneziana piena di spezie partì dall'isola di Creta sotto il comando del capitano da mar Piero Querini alla volta dei mari del Nord.

Pietro Querini non era un commerciante che ha naufragato nel trasporto del vino verso le Fiandre, bensì un mercante che nel 1432 si dirigeva verso le Fiandre con un carico di vino.
“...Pietro Querini non era un commerciante ma un Patrizio Veneto, Nobile da Maggior Consiglio (N.H.) e come tutti i nobiluomini Veneziani del tempo faceva anche il mercante, non il commerciante, che è un altro unibilissimo mestiere. Effettivamente trasportava anche il vino di Malvasia dai propri feudi di Castel di Termini e Dafnes in Candia (Creta, terra veneziana): aveva in uso le rotte per le Fiandre, quasi una esclusiva e così si spinse troppo in la e contrariato da “nimichevoli venti finì in culo mundi”.

Con i veneziani Francesco Fioravante, comito, Nicolò Michiel patrizio veneto, luogotenenti di Pietro vi era pure un altro Querini, Francesco che dimorava proprio a Candia, feudo della famiglia Querini per secoli. Come tutti i Patrizi, al rientro a Venezia doveva presentare una relazione scritta all’Eccellentissmo Senato; relazione che non è a Venezia alla Marciana ma a Roma nella Biblioteca Apostolica Vaticana”

Pietro ha il merito di descrivere e far conoscere all’Europa le genti norvegesi che abitavano le isole meridionali delle Lofoten, in quanto vi è naufragato dopo giorni di tempesta.

Pietro Querini, Cristoforo Fioravante e Nicolò di Michiel erano veneziani in navigazione verso le Fiandre con 800 barili di malvasia e altre merci di pregio.
Il 14 settembre, superano il Capo Finisterre.
Nel mare del Nord una burrasca rompe il timone, lacera le vele, rompe gli alberi, e per circa sei settimane sono in balia delle corrente che trasporta il relitto della nave veso l’Islanda. Il 17 dicembre l’equipaggio si divise: 18 su una barca di soccorso e 47 su una seconda barca che comprende i tre veneziani. La loro imbarcazione è trasportata verso il Nord della Norvegia dove i tre fanno naufragio e approdano su un’isola meridionale delle Lofoten, Rost, il 4 gennio 1432, con solo 16 uomini a bordo. Vivono per undici giorni bivaccati sulla costa, prima di incontrare pescatori norvegesi che li avvistarono e li portarono in salvo nell'isola di Roest, che qualche tempo dopo i marinai veneziani definirono un paradiso terrestre. La grande libertà e semplicità di costumi di quelle popolazioni colpì infatti profondamente i veneziani.

In quelle 12 case che ospitavano 120 persone, tutti vivevano nudi e non si fecero alcun problema per la presenza degli ospiti tanto che il Querini racconta: "Le donne restavano nude e dormivano con gli stranieri quando i mariti andavano a pescare. Quelle genti vivono il matrimonio come sacramento indissolubile e vivono senza alcuna propria lussuria, nè allievamento lo stimolo della carne".

Dopo 101 giorni in quell'ospitale villaggio gran parte dei marinai decise però di tornare portando con sè 60 stoccafissi seccati. Querini durante il viaggio di ritorno passò per Trondheim, Vadstena e Londra dove fu ospite dell'allora potente comunità veneziana che risiedeva sul Tamigi. Da lì dopo 24 giorni di cavallo il capitano da mar giunse finalmente a Venezia il 12 ottobre del 1432. Tornato in laguna nella dettagliata relazione che fece al Maggior Consiglio Querini non dimenticò certo di raccontare dello stoccafisso, quella specie di pesce che i norvegesi facevano essicare al vento fino a farlo diventare duro come un bastone e poi batterlo per farne un butiro con specie per farlo insaporire.
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