keko
| Titolo: Scrovegni, usurai senza rimorsi Sab Dic 26, 2009 8:27 pm | |
| Un luogo comune vuole che la cappella affrescata da Giotto a Padova sia stata voluta da Enrico per espiare i peccati suoi e del padre. ........ Non è così
Chi si ricorderebbe di Enrico Scrovegni se non avesse chiamato Giotto a decorare la sua cappella? Del padre di Enrico, Rainaldo, come si sa, parla anche Dante, collocandolo all’Inferno (XVII, 64-70) fra gli usurai, intrecciando con il dannato uno sprezzante dialogo. È luogo comune che Enrico, tinto dello stesso peccato, abbia fatto costruire il meraviglioso edificio affrescato per espiare le colpe proprie e paterne. Un luogo comune che mi sono proposta, e spero di esserci riuscita, di demolire. Iniziamo con Dante e guardiamo le date.
Dante cominciò a comporre l’Inferno negli anni 1306-1307 circa, rendendolo pubblico intorno al 1314-1315 (e le prime citazioni del canto XVII sono ancora posteriori: dal 1317), mentre Giotto terminò di affrescare la Cappella una decina di anni prima. La cappella infatti doveva essere agibile nel 1304: il primo marzo di quell’anno, lo Scrovegni, molto amico di papa Benedetto XI, era stato in grado di ottenere un’importante indulgenza, che i padovani potevano lucrare per ben quattro volte l’anno recandosi nella sua cappella, durante le feste mariane (Nascita, Annunciazione, Purificazione e Assunzione). E la cappella in ogni caso, fu consacrata nel 1305. Tuttavia in corso d’opera lo Scrovegni, con un colpo di mano, e nonostante le vibrate proteste dei vicini Eremitani, aveva trasformato l’edificio eccclesiastico da privata cappella in chiesa aperta al pubblico.
Il giudizio di Dante quindi non poté esser tenuto in alcun conto da Enrico (a meno di non immaginarlo dotato di uno spirito profetico veramente fuori del comune!). Se si osserva uno scorcio del Giudizio Universale, si vede che lo Scrovegni, che allora doveva essere sulla trentina, si è fatto collocare, ancora da vivo dunque, dalla parte dei beati, nella certezza di finire in Paradiso. Egli ha la bocca socchiusa: per capire che cosa stia dicendo basta spostarsi di poco verso sinistra ed osservare la figura di Agostino (i frati che officiavano la Cappella erano Agostininiani). Il santo mostra dei codici rivolti verso l'osservatore. Su uno è trascritta tutta l'Ave Maria, metà in latino, metà in dialetto padovano; se si arriva alla penultima riga partendo dal basso, si vede che c'è scritto ora per me e non ora pro nobis, come recita la preghiera. Enrico dunque si preoccupa esclusivamente per sé, senza alcun riferimento a quel padre che Dante vuole dannato all'Inferno (a ulteriore riprova di come Enrico non considerasse uniti il destino suo e del genitore). Enrico si è fatto ritrarre in ginocchio mentre offre la sua chiesa alla Madonna, a Giovanni e ad una santa regina, probabilmente sant’Orsola: Enrico infatti aveva già finanziato un monastero e una chiesa dedicati a tale santa e quindi voleva sottolineare il suo precedente ruolo di pio benefattore e munifico mecenate. Sotto questo volto si presenta dunque alla propria città ritenendo che i padovani gli fossero grati per l’indulgenza che egli era riuscito a fare loro accordare, grati di potere ammirare i meravigliosi affreschi di Giotto.
Tuttavia, per poter apparire come gran mecenate, Enrico doveva in qualche modo giustificare, o per lo meno dotare di un valore positivo, le enormi ricchezze accumulate. Lo Scrovegni in effetti, attraverso Giotto, fa di tutto per sottolineare come il denaro abbia una valenza positiva, se lo si mette in circolo e lo si dona, ed è in questa prospettiva «caritatevole» che si deve comprendere l’enorme spazio accordato a Gioacchino e Anna, i genitori di Maria, un vero unicum in un monumento pubblico, personaggi mai ricordati nei Vangeli, ma presenti solo nei Vangeli apocrifi, quei vangeli cioè tollerati dalla Chiesa anche se non ritenuti ispirati da Dio.
Gioacchino, all'inizio della storia, era stato cacciato dal tempio perché sterile. Gioacchino e la moglie Anna infatti, ormai avanti negli anni, non avevano ancora avuto figli e nell'Antico Testamento si riteneva che, se un'unione coniugale non fosse benedetta da prole, denunciava uno stato di peccato. Tuttavia dopo varie peripezie era apparso a Gioacchino un angelo annunciando la prossima nascita di Maria perché Dio aveva considerato che Gioacchino era sì un uomo molto ricco, ma, insieme alla moglie, faceva un buon uso delle ricchezze, in quanto i coniugi ne tenevano una parte per loro, una la davano ai poveri ed una terza al Tempio. Ecco quindi rappresentato, grazie ad Anna e a Gioacchino, un tema particolarmente caro ad Enrico: il buon uso delle ricchezze.
Da uno sguardo d’insieme delle varie rappresentazioni emerge un continuo gioco di rimandi incrociati fra il titolo della chiesa, che era quello di Santa Maria della Carità (qualità che i cittadini di Padova potevano pensare che scarseggiasse nello Scrovegni e che lo Scrovegni invece ostenta di possedere in abbondanza) e santa Maria Annunciata, perché lo Scrovegni consacrò l’edificio proprio il 25 marzo, giorno dell'Annunciazione, riuscendo a far concludere nella sua chiesa la cerimonia religiosa e civile celebrata ogni anno in quel giorno, importantissima per Padova. Per ottenere questo sappiamo che pagava anche in parte le spese della processione. E il 25 marzo entrava un raggio di sole da una finestra della navata che andava a colpire il modellino della cappella offerto da Enrico Scrovegni nella grande parete della controfacciata (oggi, con lo spostamento del calendario, la data è slittata di qualche giorno). L’artificio evidenziava un duplice tema: da una lato la Carità era strettamente connessa all'Annunciazione, dall’altro il raggio di sole, avvolgendo lo Scrovegni, illuminava anche il dono che egli aveva fatto alla sua città. CHIARA FRUGONI LaStampa.it
L'affresco di Giotto in cui Enrico Scrovegni consegna il modellino della sua Cappella all Madonna.
Vi invito a farci una visita turistica, ne vale veramente!!!.... | |
|
Admin
| |