Slow Art ovvero il piacere di godere l’arte, con la tranquillità di spirito che è necessaria, senza fretta e senza doversi contendere spazi, scegliendo di prendersi delle pause se gli occhi e la mente cominciano a soffrire della sindrome di Stendhal. L’arte proposta da mostre di gran qualità, raffinate nella scelta delle opere e nella qualità degli allestimenti, inserite in contesti che rappresentino un grande valore aggiunto.
Qual è la differenza tra un hamburger e un’opera d’arte? Nessuna, verrebbe da dire pensando al modo con cui troppo spesso oggi vengono consumate sia l’uno che l’altra. Fast Food: cibo di corsa, senza identità, che mangi di fretta senza preoccuparti della provenienza, di chi l’ha preparato e di cosa davvero contiene. Fast Art: si potrebbero definire così troppe mostre pensate solo per accumulare visitatori, per creare l’evento, per essere consumate di corsa, senza preoccuparsi troppo né di quello che si mette in vetrina né di quello che lascerà. Di qui l’idea, nata a un gruppo di appassionati d’arte torinesi di dar vita a Slow Art, un movimento che, in sintonia con i principi di Slow Food, promuova anche nel campo dell’arte contemporanea il gusto per la lentezza, per la “decelerazione”, per un consumo attento e consapevole dell’esperienza estetica.
Slow Art non nasce dal nulla, ma ha radici in riflessioni e iniziative fiorite a Torino prima e a Milano e Catania poi nell’ambito di Arte Giovane, un’associazione no-profit nata nel 1994. Torino viveva all’epoca una realtà artistica particolare: culla negli Anni 70 dell’Arte Povera, con l’affermazione internazionale del movimento di Merz, Pistoletto & C la città aveva sì visto crescere progressivamente il proprio prestigio in campo artistico, ma aveva anche paradossalmente vissuto la messa in disparte di quelle tendenze e di quei fermenti non in sintonia con i “poveristi”.
A soffrirne era soprattutto una generazione di artisti giovani legati all’arte figurativa e alle sue espressioni più tradizionali (pittura, fotografia, scultura) che pur segnando un rinnovamento veniva in qualche modo emarginata da un mercato attento soprattutto a sfruttare l’onda lunga dell’Arte Povera. C’erano in città galleristi e anche nuovi collezionisti disposti a scommettere sui giovani talenti, da un lato perché convinti che la freschezza delle opere d’esordio d’un artista fosse un valore in sé, dall’altro perché il costo non eccessivo di tali opere poteva permettere di avvicinare al collezionismo una fascia più ampia di pubblico. Così una trentina di appassionati di arte contemporanea, per lo più giovani professionisti, intorno ai quarant’anni, fece nascere Arte Giovane.
tratto dalla rivista Slow